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L’Italia, data la sua posizione geografica al centro del mar Mediterraneo, la sua cultura giuridico-sociale, è sempre stata punto di partenza e arrivo per migliaia di stranieri in cerca di condizioni di vita migliori, motivo per il quale si è reso necessario disciplinare il fenomeno migratorio. Un fenomeno risalente nel tempo, ma sempre attuale, in quanto riguarda individui e popoli in perenne ricerca di un territorio nuovo dove stabilirsi con la speranza di una vita migliore. Data la vastità del fenomeno, è difficile individuare quali siano le ragioni. Senza dubbio lo stato di povertà dei paesi d’origine, le disastrate condizioni politico-amministrative degli stessi, come ad esempio la presenza di dittature, persecuzioni, guerre e genocidi, spingono intere famiglie a cercare la libertà al di fuori del proprio Paese.
L’Italia ha ratificato, dalla Seconda Guerra mondiale in poi, una serie di accordi internazionali volti a regolamentare i flussi migratori con diversi paesi ed arginare l’immigrazione clandestina: la Convenzione di Montego Bay del 1982, sul diritto internazionale marittimo, la Convenzione di Roma del 1989 sul terrorismo marittimo, il Protocollo di Palermo del 2000 su traffico illegale dei migranti in mare; la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo (1948), la quale all’art.13, sancisce il “Diritto di movimento” di ogni individuo come il “diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese”; la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 che ripercorre gli stessi principi della Dichiarazione; la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato che introduce diritti e doveri per il rifugiato, ovvero il dovere di conformarsi alle legge e ai regolamenti del paese ospitante e il diritto a non essere espulso o respinto verso il proprio paese o paesi ove la sua vita o libertà sarebbero minacciate, salvo che lo stesso rifugiato non costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato ospitante; la Carta di Nizza – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea- del 2007 che vieta le “espulsioni coattive” e da ultimo il Patto Europeo sull’immigrazione e l’asilo del 2008 con il compito di adottare tra i vari Stati delle linee comuni per combattere l’immigrazione clandestina, controllare le frontiere e cercare dialogo con i paesi fonte di immigrazione.
Anche la Costituzione Italiana, riprendendo i principi internazionali, sancisce, all’art. 2, i diritti inviolabili dell’uomo, disponendo che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.” Fa da corollario all’art 2 Cost., l’art. 10, il quale riconosce lo “status dello straniero”, sancendo che “La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici”.
Chiarito che il diritto internazionale è vincolante per tutti gli Stati e che nessuno Stato può limitare la libertà di movimento, è necessario fare delle riflessioni sulla legittimità dei recenti provvedimenti adottati dalle Autorità Italiane, in merito al divieto di sbarco sul territorio italiano dei migranti soccorsi in mare.
A tal proposito, occorre ribadire che non può assolutamente essere derogato il principio, universalmente riconosciuto, secondo cui l’obbligo di salvare la vita in mare prevale su tutte le norme e gli accordi fra gli Stati finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare.
In virtù dell’art. 117 Cost. le leggi di ratifica delle Convenzioni internazionali hanno rango normativo pari alle leggi Costituzionali e quindi superiore alle disposizioni amministrative emanate da un ministro. Occorre dunque stabilire qual è il limite invalicabile tra la tutela dei confini nazionali e il dovere del salvataggio e dell’accoglienza dei migranti soccorsi in mare.
Le scelte governative o delle autorità di coordinamento dei soccorsi non possono derogare agli obblighi degli Stati che hanno sottoscritto o recepito un accordo internazionale. Devono, pertanto, essere garantiti il soccorso e lo sbarco in un luogo sicuro (place of safety). Eventuali intese operative tra le autorità di Stati diversi, o la “chiusura” dei porti italiani, non possono consentire deroghe al principio di non respingimento in Paesi non sicuri. Ai sensi dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra, sottoscritta anche dall’Italia, nessuno Stato potrà espellere o respingere, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche. Sulla base di quanto sancito dalla Convenzione di Montego Bay, lo stesso obbligo grava sul comandante di una nave che ha prestato soccorso ai migranti in difficoltà. Egli non potrà riportarli al Paese di origine se vi sia pericolo per la loro incolumità, ma dovrà garantire uno sbarco in un luogo sicuro.
Alla luce delle norme sopra riportare, il rifiuto di autorizzare lo sbarco in un “porto sicuro” di individui che, sfuggiti a torture e violenze, si trovano in condizioni igienico-sanitarie difficilmente sostenibili e con bisogno di accesso a cure mediche e a generi di prima necessità, viola le norme a tutela dei diritti umani e sulla protezione dei rifugiati, in particolare l’art. 2 (diritto alla vita) e l’art. 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) della Convenzione europea per i diritti dell’Uomo, oltre che il principio di non respingimento e il diritto di accedere alla procedura di asilo sanciti dalla Convenzione di Ginevra, dal diritto comunitario e dall’art. 10.3 della Costituzione Italiana.
Giuseppe Novara
Fonti