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La crisi economica seguita alla pandemia crea un terreno particolarmente fertile alla diffusione dei due reati, tanto che, nel luglio 2020, è stato istituito un Organismo permanente di monitoraggio e analisi sul rischio di infiltrazione nell’economia da parte della criminalità organizzata, puntualizzano Eleonora Montani, Michele Polo, Giacomo Rapella e Michele Vasca, gli studiosi Bocconi autori di uno studio presentato questa mattina in Prefettura a Milano al Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, Prefetto Giovanna Cagliostro, e al Ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese.
Lo studio, frutto di un accordo di collaborazione tra l’Università Bocconi e il Commissario per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, vuole valorizzare l’esperienza ventennale del Fondo di solidarietà per le vittime di estorsione e usura, focalizzandone al contempo alcuni aspetti sui quali intervenire per migliorarne l’efficienza.
Il Fondo nasce da un’idea di Giovanni Falcone e mira a sostenere e reinserire nell’economia legale le attività vittime dei due reati, concedendo elargizioni a fondo perduto alle vittime di estorsione e prestiti decennali a interesse zero alle vittime di usura, ristori commisurati ai danni patrimoniali e personali subiti dalle stesse.
I ricercatori della Bocconi hanno costruito un database delle oltre 5.000 richieste di supporto alle quali il Fondo ha dato finora risposta e, in un’elaborazione preliminare dei dati, ne hanno analizzate il 20% circa.
La prima criticità emersa è l’esiguità del numero di richieste, che non solo sottostima la diffusione dei due crimini, ma è anche lontano dal numero di denunce. Anche chi fa ricorso al Fondo, è risultato da una serie di interviste in profondità, non è solitamente a conoscenza della sua esistenza al momento della denuncia del reato.
Se si escludono i casi di usura bancaria, che non comportano mai la concessione del prestito, le istanze per estorsione sono due volte quelle per usura criminale, con un 8% di casi di vittime di entrambi i reati.
Le richieste sono relativamente più frequenti nelle regioni di tradizionale insediamento delle organizzazioni criminali: Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, cui si aggiunge la Basilicata.
Anche l’analisi dei settori produttivi presi di mira conferma le evidenze giudiziarie sulle industrie maggiormente infiltrate dalla criminalità organizzata. Spiccano i settori delle Coltivazioni, produzione animali, caccia e connessi (15,9%), quelli del Commercio al dettaglio (15,2%), delle Attività servizi di ristorazione (13,8%), delle Costruzione edifici (14,5%) e del Commercio e riparazione autoveicoli e motocicli (9,0%). Colpisce, tuttavia, l’assenza dei settori della fornitura alle pubbliche amministrazioni e alle aziende sanitarie, o della gestione dei rifiuti, indicati spesso come terreno di contaminazione.
La progressiva digitalizzazione delle procedure e l’adozione di database più sofisticati ha progressivamente migliorato l’efficienza delle procedure, riducendo i tempi di valutazione delle istanze. Negli ultimi anni le richieste vengono accolte mediamente nella metà dei casi e con una erogazione o mutuo che si attesta attorno alla metà delle somme richieste.
Dalle interviste alle vittime dei due reati emergono soprattutto i drammatici contorni dell’usura, che Eleonora Montani, adjunct professor del Dipartimento di Studi giuridici della Bocconi e coordinatrice dello studio, definisce “reato subdolo e dotato di una incredibile capacità di annichilire umanamente, psicologicamente ed economicamente le vittime”.
Il fatto che molto spesso sia l’imprenditore a rivolgersi all’usuraio in un momento di crisi di liquidità e che questi sia quasi sempre vissuto, almeno in un primo tempo, come qualcuno che ha prestato un aiuto, insieme a fattori psicologici che spingono l’imprenditore a nascondere il bisogno di prestiti, equiparato a un fallimento nella gestione dell’impresa, fa sì che, dice ancora Montani “l’imprenditore denunci quando è allo stremo e non ha più alternative, quando è psicologicamente annullato e l’impresa è in ginocchio, quando è pieno di debiti e non è più in grado di far fronte alle richieste dell’usuraio”. Nell’82% dei casi l’imprenditore utilizza il prestito a interesse zero concesso dal Fondo per pagare debiti pregressi, non riuscendo così a rilanciare la propria impresa e a far fronte alla restituzione allo Stato.
La principale raccomandazione contenuta nello studio è perciò quella di equiparare il trattamento delle vittime dei due reati, concedendo elargizioni a fondo perduto, anziché prestiti, anche a chi è caduto nelle mani degli usurai.
L’efficacia del Fondo si misura anche dall’effettivo reinserimento delle imprese nell’economia legale. A questo proposito, lo studio rileva l’estrema utilità di un accompagnamento, in un momento in cui le molteplici pressioni a cui è soggetto l’imprenditore possono pregiudicarne la lucidità. Si dovrebbe perciò valorizzare l’attività delle associazioni antiracket e antiusura e istituire figure professionali competenti, che accompagnino l’imprenditore in un razionale investimento del contributo.
Entrambe le raccomandazioni sono attualmente al vaglio del legislatore.
Il Prefetto Cagliostro ha sottolineato, in particolare, che “i risultati raggiunti qualificano un percorso di riflessione, condotto in questi ultimi anni dalla Struttura commissariale, sulla necessità di intraprendere iniziative -di carattere amministrativo, di potenziamento delle procedure digitalizzate e di iniziative per modificare la legislazione di riferimento -, tese a rendere il Fondo uno strumento più conosciuto, più efficiente nei tempi e nelle modalità di trattazione delle istanze e, quindi, più efficace come incentivo alla denuncia da parte delle vittime, rafforzando così un contesto socio-economico più sano e garantendo maggiore benessere alle giovani generazioni”.